OsterReich(elt)

Kitzbuhel, ore 12.30. Aksel Lund Svindal ha appena tagliato il traguardo della Streif scalzando per soli 13 centesimi Bode Miller. L’americano è una statua di sale: nel tratto carosello-Steilhang è stato insuperabile, confermando che quando c’è da combinare coraggio, tecnica e incoscienza il numero uno è ancora lui, per distacco. Però, Bode aveva sporcato la sua performance con uno sbilanciamento in un anonimo tornante a sinistra dopo il salto del Seidlalm. Una leggerezza da 2 decimi, massimo 3, proprio quelli che gli sarebbero serviti a tenere dietro il norvegese. Svindal all’intermedio del Bruchenschuss vedeva Miller col binocolo (un secondo di distacco), ma da lì in poi è stato perfetto, sfruttando anche il percorso bis  di oggi senza Hausbergkante (neve insufficiente per preparare in sicurezza “La” diagonale del circo bianco). Intanto dal cancelletto è scattato Adrien Theaux: il francese divora la porta che immette sulla Mausefalle (la trappola per topi) e giunge terzo al termine di una prova super. Svindal viene preso d’assalto dai vip. Arnold Swcharzenegger, Niki Lauda e Bernie Ecclestone si complimentano col norvegese, che nel frattempo ha resistito all’attacco di Cristoph Innerhofer (4°), fantastico sul tecnico ma frustrato dai lunghi tratti di scorrimento. Lo svizzero Patrick Kueng, vincitore la settimana scorsa nella mutilata Wengen, conclude ad anni luce e la festa scandinava continua.

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Alla partenza ecco che si affaccia Hannes Reichelt, ultima cartuccia dello squadrone austriaco. I padroni di casa non vincono una discesa dal 2012, i giovani Max Franz e Matthias Mayer hanno ben figurato senza però eccellere, mentre un sempre più sbiadito Klaus Kroell ha fatto ancora cilecca (17°). I 50.000 sostenitori accorsi ai bordi della Streif, però, non rimangono delusi come i 30.000 di ieri (Matt e Hirscher out in slalom). Reichelt, infatti, conduce la gara dall’inizio alla fine, tagliando il traguardo con 21 centesimi di vantaggio rispetto a Svindal. Il parterre esplode: era dal 2006 che il pubblico austriaco non vedeva un suo beniamino sul primo gradino del podio della Streif (allora  vinse Michael Walchofer). Da domani l’Austria cambierà nome: si chiamerà OsterReich(elt).

L’Italia difende il 4° posto nel ranking Uefa

Tre vittorie, un pareggio e una sconfitta: questo il bilancio della tre giorni europea per le squadre italiane. Classifica del ranking Uefa alla mano il programma prevedeva due scontri diretti: con la Germania per accorciare le distanze verso il 3° posto e con il Portogallo per difendere il 4°. Il Napoli ha fallito contro il Borussia Dortmund, la Fiorentina non è andata oltre lo 0-0 contro il Paços de Ferreira. Comunque, Juventus, Milan e Lazio hanno portato a casa i 3 punti spianandosi la strada verso il passaggio del turno le prime, il primo posto nel girone l’ultima.

Napoli-Borussia

Behrami-Blaszczykovski a confronto

5/5 – Con i se e con i ma non si va da nessuna parte, ma facciamo finta di avere la sfera di cristallo e proiettiamoci al 13 dicembre, giorno in cui le fasi a gironi di Champions League ed Europa League saranno finite. La logica suggerisce il seguente scenario: Juventus e Milan agli ottavi di Champions, Napoli “retrocesso” in Europa League assieme a Lazio e Fiorentina. Miracoli al San Paolo contro l’Arsenal o no, l’Italia non perde alcun club. Non si può dire lo stesso per il Portogallo, che saluta Paços, Estoril e Vitoria Guimaraes ed aspetta di conoscere il destino di Benfica e Porto, che si contenderanno con Olympiacos e Zenit il prosieguo del cammino in Champions. Tifare per il passaggio del turno delle lusitane non è sbagliato: meglio una possibile eliminazione agli ottavi che una cavalcata trionfale in Europa League.

4° POSTO OK – Anche la Francia vedrà dimezzato il proprio contingente: Marsiglia e Bordeaux lasciano a Paris Saint-Germain e Lione il compito di tenere alta la bandiera francese in Europa. Se Benitez vorrà cercare con forza il bis dopo il successo del 2013 alla guida del Chelsea, l’Italia può dare per scontata la difesa del 4° posto nel ranking nonostante la perdita a fine stagione dei punti dati dalla Champions vinta dall’Inter di Mourinho nel 2009-2010.

Chelsea's Torres scores a goal past Schalke 04's goalkeeper Hildebrand during their Champions League soccer match in Gelsenkirchen

Torres infila il 3-0 in Schalke 04-Chelsea

UN ABISSO – L’assalto alla Germania per recuperare la 4a squadra da mandare in Champions, però, pare impossibile. Bayern e Borussia sono due superpotenze, e Klopp in Europa League potrebbe viaggiare senza difficoltà fino alla finale di Torino. Lo Schalke 04 e il Bayer Leverkusen proseguiranno la loro avventura in Europa, così come l’Eintracht Francoforte. Solo il Friburgo deve giocarsi il passaggio ai sedicesimi. Nella migliore delle ipotesi, 5 club andranno avanti. I probabili incroci di lame tra Italia e Germania nella fase a eliminazione diretta saranno importanti per lanciare una rincorsa, comunque a lungo termine (almeno 2 anni).

POKERISSIMO – L’Inghilterra deve guardarsi dall’assalto tedesco. Certo, le armate della regina fanno paura: Arsenal, Chelsea, Manchester United, Manchester City e Tottenham sono tutte valide candidate alle semifinali delle 2 competizioni. Vedremo come andrà, almeno l’umiliazione del sorpasso da parte di Portogallo e Francia sembra scongiurata.

Sci: è l’ora della velocità

Dopo le gare di Soelden e Levi, per il circo bianco è arrivato il momento della velocità. Uomini e donne sono impegnati aldilà dell’oceano: le ragazze negli Stati Uniti a Beaver Creek, gli uomini-jet a Lake Louise, in Canada. Le tre giorni femminile inizia stasera e prevede una discesa libera, un superG e un gigante, discesa e superG nel weekend per i maschi.

Audi FIS World Cup - Women's Downhill

Lara Gut

RAPTOR – Lara Gut conferma il suo stato di grazia: dopo aver dominato il gigante di apertura, la campionessa svizzera ha vinto 2 delle 3 prove cronometrate sulla nuova pista “Raptor”, che sarà teatro dei prossimi mondiali nel 2015. Tempi alla mano l’avversaria principale sarà Tina Weirather, atleta pronta a prendere l’eredità di Marco Buchel nelle vesti di atleta di riferimento per il Lichtenstein. Da tenere d’occhio anche l’austrica Anna Fenninger e la padrona di casa Stacey Cook, che proverà a non far sentire la mancanza dell’infortunata Lindsey Vonn.

AZZURRE – Riflettori puntati su Sofia Goggia, alla prima stagione completa in Coppa del Mondo. Dopo aver stupito tutti ai Mondiali di Schladming sfiorando la medaglia di bronzo in superG (sfuggitale per appena 5 centesimi), la giovane bergamasca è pronta ad andare alla caccia del primo podio.  Ci proverà sicuramente anche Daniela Merighetti, che dovrà sfruttare la prima parte pianeggiante e il finale del tracciato e difendersi nel carosello di curve centrale, punto in cui è caduta Elena Curtoni nella seconda prova cronometrata infortunandosi al gomito. La sua presenza al cancellato di partenza stasera (ore 18.45 eurosport e raisport 1) è in dubbio. Le altre italiane al via saranno Elena e Nadia Fanchini, Verena Stuffer, Francesca Marsaglia, Camilla Borsotti, Lisa Agerer e Joanna Schnarf.

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Sofia Goggia

GUAY PROFETA IN PATRIA? – Ieri a Lake Louise è stata cancellata per maltempo la seconda prova cronometrata. Nella prima il padrone di casa Erik Guay aveva messo in riga tutti precedendo l’americano Steven Nyman e l’elvetico Patrick Kueng. Da segnalare il ritorno in pista dello svizzero Beat Feuz, assente la scorsa stagione dopo aver conteso fino all’ultimo la Coppa di cristallo a Hirscher l’anno  precedente. L’Italia confida in Dominik Paris e Christof Innnerhofer, ultimi vincitori a Kitzbuhel e a Wengen. Werner Heel, Peter Fill, Siegmar Klotz, Mattia Casse, Matteo Marsaglia e Silvano Varettoni completano la spedizione azzurra.

Vinales pronto a seguire le orme di Marquez

15 maggio 2011, gara della classe 125 cc. Nico Terol, pilota destinato a imprimere il suo nome nell’albo d’oro per l’ultima volta alla voce ottavo di litro, inizia in testa l’ultimo giro sulla pista di Le Mans. L’unico avversario a contendergli il successo è Maverick Vinales, campione spagnolo ed europeo l’anno precedente. La differenza di motore tra le due moto (entrambe Aprilia) a vantaggio di Terol è evidente, e Maverick, nome “affibiatogli” dal padre, patito del film “Top Gun”, sui rettilinei non riesce ad insidiare Nico. Si arriva così all’ultima doppia curva a destra. Terol in entrata protegge l’interno, ma poi allarga come impone la fisica. Vinales si fionda nella porta aperta senza chiedere permesso e va così a vincere il suo primo Gran premio del Mondiale con un sorpasso tanto pulito quanto spettacolare.

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In quell’anno si ripeterà ad Assen e negli ultimi due appuntamenti in Malesia e a Valencia, la gara di casa, chiudendo in terza posizione la stagione d’esordio. Il primo titolo della Moto 2 sembrava quindi avere già un padrone, ma il 2012 si rivela un’annata da incubo per Vinales. Dopo aver vinto 5 delle prime 9 gare, la stagione di Vinales prende una piega inaspettata che culmina col rifiuto dello spagnolo di scendere in pista a Sepang. Motivo? MV25 protesta contro il team e la sua Ftr-Honda, decisamente meno performante della Ktm dell’iridato Sandro Cortese. A torto o a ragione Vinales trova per il 2013 quello che voleva: una moto della casa austriaca nel team di Angel Nieto. 6 podi nei primi sei round, equamente divisi a coppie sui tre gradini con gli acuti a Jerez e a Le Mans. Il problema per Maverick è che assieme a lui sul podio salgono sempre anche i connazionali Salom e Rins. Il primo sembra chiudere i conti in Australia, ma le cadute di entrambi a Motegi riaprono tutto. Il trio se l’è giocata domenica a Valencia. La classifica recitava Salom 300, Vinales 298, Rins 295.

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In gara il tedesco Folger ha fatto da quarto incomodo, ma ha sempre chiuso il trenino di testa. Il primo a lasciare il “tavolo”, a sopresa, è Salom, caduto al 15° giro. Le ultime 2 tornate sono un continuo duello mozzafiato tra i 2 contendenti rimasti. Rins passa in fondo al rettilineo, Vinales risponde subito al rampino e tiene duro nell’incrocio di traiettorie. Si arriva all’ultima decisiva staccata: Alex ci deve provare e forza la frenata all’interno, Maverick, freddo come il 25 maggio 2011, si infila nel varco lasciato aperto e va sul traguardo a prendersi gara e titolo mondiale. L’investitura di “nuovo Marquez”, spetta a lui.

Kvyat, un italorusso alla conquista della Formula 1

Dopo Vitalij Petrov, ancora presenza fissa negli incubi di Fernando Alonso dopo Abu Dhabi 2010, un nuovo pilota sarà portacolori della Russia sulla griglia di partenza della stagione 2014: Daniil Kvyat affiancherà Jean-Éric Vergne al volante della Toro Rosso.  Nato a Ufa il 26 aprile 1994, dopo i primi passi sui kart sale per la prima volta su una monoposto nella Bmw Pacific season 2010, anno in cui diventa membro della Red Bull Driver Academy.  Nel 2011 partecipa alla Toyota Racing Series, ma il suo nome finisce sui taccuini dei manager nel 2012 quando sfiora il titolo nella Formula Renault 2.0 Eurocup: in testa all’ultima gara al Montmelò, paga un calo di grip nel finale perdendo l’iride per 10 punti a favore del belga Stoffel Vandoorne. Quest’anno il pilota russo sta facendo faville in Gp3 nel team Arden, surclassando il compagno di box Carols Sainz jr (il figlio d’arte ha raccolto appena 66 punti contro i 131 di Kvyat).

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Dopo un inizio balbettante Daniil ha messo in mostra tutto il suo valore vincendo su circuiti impegnativi come Spa e Monza. L’autodromo brianzolo è un po’ la pista di casa per Kvyat, che vive a Roma assieme alla sua famiglia. Ad Abu Dhabi, ultimo appuntamento della Gp3, contenderà il titolo al leader della classifica piloti Regalia, che ha soli 7 punti di vantaggio su Daniil. L’annuncio dell’approdo nella Toro Rosso è stato accolto con stupore dal Circus: si attendeva l’ingaggio di un russo, ma gli indizi portavano al sodalizio tra Sirotkin e la Sauber. Inoltre, la corsa al sedile della scuderia di Faenza sembrava ristretta a Sainz e al favoritissimo Felix Da Costa. Il portoghese, vincitore nel 2012 a Macao in Formula 3, ha pagato caro un’annata al di sotto delle aspettative nella Formula Renault 3.5, terminata al terzo posto dietro al pupillo McLaren Kevin Magnussen e a Stoffel Vandoorne.   “Se un giovane pilota dimostra talento, passione e un elevato livello di etica del lavoro, gli diamo una possibilità”, così ha commentato l’ingaggio di Kvyat Helmut Marko, consigliere della Red Bull Motorsport. Il giovane driver dovrà dimostrare di essersi guadagnato il posto non per i suoi natali ma per il suo talento, in un ambiente in cui l’accesso ai 22 volanti più ambiti al mondo sembra  possibile solo con valigie piene di quattrini.

Grosjean-Hulkenberg: 0 vittorie, tanta fame

Vettel-Ricciardo, Alonso-Raikkonen, Rosberg-Hamilton e…  Grosjean-Hulkenberg. Il gioco delle coppie dei top team (ordinati secondo l’attuale classifica costruttori) si è concluso con le parole del team manager della Lotus Eric Boullier: “Il pilota tedesco ha fornito prestazioni consistenti quest’anno in Sauber, assieme a Romain formerà un’ottima squadra”. L’ultimo ambito sedile della scuderia di Enstone ora ha un padrone. Se Red Bull, Ferrari e Mercedes possono contare su Campioni del Mondo del calibro di Vettel, Alonso, Raikkonen ed Hamilton, RoGro  e Nico non hanno mai tagliato la bandiera a scacchi per primi, anzi, il francese ha ottenuto 7 podi, il tedesco appena una pole position (in Brasile, nel 2010, al volante della Williams). Ma nessuno dovrà sottovalutarli: entrambi campioni della GP2 da dominatori (2009 Nico, 2011 Romain), per ora hanno pagato il fatto di non avere munifici sponsor alle loro spalle (Hulkenberg) o sono rimasti prigionieri dalla smania di dover dimostrare ad ogni costo il loro valore (Grosjean).

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Il francese il prossimo anno sarà la prima guida, e non dovrà più fare i conti con un compagno di box ingombrante come Raikkonen. In questo finale di stagione sta finalmente confermando in gara quanto di buono ha sempre messo in mostra in qualifica,  tenendosi  alla larga da collisioni che gli valsero l’anno scorso il soprannome di “first lap nutcase” da parte di un tipo tranquillo come Webber. Nico, invece, avrà finalmente la sua grande occasione: dopo aver sfiorato la Ferrari nel 2009, quando a Maranello pensarono a lui prima di affidare l’auto dell’infortunato Massa a Luca Badoer, nel 2010 non riuscì a sfruttare la prima occasione, complice una Williams tutt’altro che irresistibile. Appiedato dalla scuderia di Grove, bisognosa dei quattrini di Bruno Senna e Pastor Maldonado, per il 2011 Hulkenberg deve accettare il ruolo di terzo pilota alla Force India. La follia notturna di Sutil (rissa in discoteca con tanto di bicchiere infranto sul collo del malcapitato Eric Lux) gli libera un posto da titolare per il 2012, anno in cui raccoglie 63 punti, 17 in più del compagno Di Resta. Due le gare memorabili: il quarto posto di Spa, favorito dallo strike al via proprio di Grosjean, che eliminò in un colpo solo se stesso, Alonso, Hamilton e Perez, e la straordinaria cavalcata sull’asfalto umido di Interlagos, conclusa con il contatto con Hamilton a metà gara che costò a entrambi il ritiro nella corsa che consegnò il terzo titolo consecutivo a Sebastian Vettel.

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Messo sotto contratto per il 2013 dalla Sauber, Nico si aspettava di poter bissare i podi conquistati nel 2012 da Perez e Kobayashi. La crisi finanziaria abbattutasi sulla scuderia svizzera, invece, ha condannato il tedesco a una stagione da comprimario fino alla rinascita iniziata da Monza. Quinto in Italia, a punti a Singapore, quarto in Corea e sesto in Giappone. Dalla delusione della Ferrari di nuovo sfumata (Raikkonen) alla gioia di un futuro in oronero. Il 2014 sarà un annozero per la Formula 1: tornano i motori turbo, i consumi verranno limitati, al Kers si aggiungerà l’Ers e i piloti saranno più dei robot che degli esseri umani. Se gli ingegneri della Lotus si confermeranno capaci di realizzare un mezzo competitivo a fronte di un budget limitato, Grosjean e Hulkenberg saranno dei brutti clienti per tutti, nessuno escluso.

Un nuovo Falcao pronto a sbocciare in Portogallo

“Vogliamo un nuovo Falcao”. Queste le parole degli uomini mercato del Benfica nella sessione invernale a cavallo tra il 2010 e il 2011. In quel periodo il fenomeno colombiano imperversava nella Liga Zon Sagres e in Europa League mettendo a segno 72 gol in 88 presenze con la maglia del Porto, per la gioia dei Dragoes portoghesi e la disperazione degli storici rivali per la leadership del calcio lusitano. Il River Plate, proprio l’ex squadra del “Tigre”, propose alle aquile biancorosse Rogelio Funes Mori, attaccante classe 1991, ma la richiesta di 8 milioni fu giudicata eccessiva.

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Funes Mori, dopo un esordio convincente in Primera Division con la maglia della banda e, soprattutto, un torneo sudamericano under 20 da assoluto protagonista in albiceleste, aveva avuto un brusco calo di rendimento, così non se ne fece nulla. Due giorni fa, invece, è arrivata l’ufficialità: l’attaccante argentino è un nuovo giocatore del Benfica. El “Melli” (soprannome dovuto al fatto che Rogelio ha un fratello gemello, Ramiro, difensore anch’egli in forza al River Plate), ha realizzato 20 reti in 98 presenze dal 2009 al 2013. Poche. Falcao aveva fatto meglio (34 marcature in 90 apparizioni) prima di vestire la maglia biancoblu del Porto – 5,5 milioni di euro la cifra sborsata dai dragoni – ma l’acquisto del colombiano era passato più che inosservato. Chi avrebbe mai immaginato che Falcao avrebbe collezionato 142 gol e mosso 100 milioni di euro nei suoi due trasferimenti successivi?

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Funes Mori, 185 cm per 74 kg, è una prima punta tecnica e veloce, ma difetta di killer istinct. L’argentino attendeva una chance in Europa da troppo tempo, e se il Benfica decidesse di privarsi di Cardozo si ritroverebbe in mano le chiavi dell’attacco biancorosso. Tutta Lisbona spera che si ripeta quanto accaduto 275 km più a Nord.

 

Finalmente Hamilton, Ferrari al capolinea

Al termine del terzo turno di  prove libere, a un’ora dalle qualifiche, Alonso aveva il secondo crono alle spalle di un sorprendente Grosjean, Vettel era quarto. E le velocissime Mercedes? “Nowhere” (sesta e ottava a mezzo secondo dalla Lotus del francese). Nella Q3 Hamilton rivela le proprie carte e piazza una pole da capogiro, appena 38 millesimi meglio di Seb. Dietro RoGro e Rosberg, Alonso quinto con a fianco Raikkonen. “Il solito fuoco di paglia, domani, con 40 gradi sull’asfalto, non andranno da nessuna parte”, si sentiva dire in ogni dove nel paddock.

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Pronti via ed è subito bagarre, con Rosberg a farne le spese dopo un contatto con Massa. Il genietto inglese mantiene la leadership e Vettel non riesce ad avvicinarsi, anzi, negli specchietti vede minacciosa la gigantografia di Grosjean, smanioso di superare il campione del mondo. Il primo valzer di pit stop vede i primi tornare in pista alle spalle di Button, che con la sua McLaren ha impostato una gara d’attesa sulle due soste. Hamilton si sbarazza del connazionale senza problemi, mentre la Red Bull di Vettel si pianta letteralmente dietro gli scarichi della freccia d’argento. Si forma così un trenino di quattro vetture chiuso da Alonso, che grazie al tappo offerto da Jenson colma il gap maturato nel primo stint della corsa. Chi beneficia maggiormente della situazione è il sornione Webber, che davanti a Button può gestire tranquillamente il suo treno di gomme medie con cui è scattato dalla decima casella in griglia. Quando Jenson si ritrova ormai a correre sui cerchioni Vettel, Grosjean e Alonso lo passano nel giro di quattro curve, naturalmente il sorpasso con contatto vede come protagonista il francese, ma stavolta non è Romain a stringere, bensì Button che ci rimette una paratia dell’ala anteriore. Anche il pilota della Lotus si ferma prima del previsto per scongiurare un collassamento del pneumatico, e al suo rientro supera Massa con una manovra spettacolare che gli costa un inspiegabile drive through comminatogli dalla direzione corsa. Davanti Vettel non vede la Mercedes neanche col binocolo perché Hamilton è in stato di grazia: passo insostenibile per gli altri e determinazione nei sorpassi dopo le soste ai box, queste le chiavi della gara dell’inglese, l’unico in grado di districarsi in uno slalom di doppiati e vetture più lente sul toboga ungherese.

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Alle sue spalle continuano le schermaglie tra gli altri piloti, e ad approfittarne è il solito Raikkonen, poco incisivo in qualifica e nei sorpassi ma estremamente concreto quando si tratta di martellare giri veloci salvando le gomme. Iceman, grazie a due soli pit si ritrova secondo con Vettel arrembante alle sue spalle. Gli attacchi del tedesco vanno a vuoto, così come quelli di Grosjean ad Alonso, quinto dietro a Webber. Sul traguardo Hamilton può festeggiare la prima vittoria stagionale dopo troppe pole position sprecate. L’affermazione rilancia Lewis in ottica mondiale: è a 48 punti da Vettel, ma con ancora 9 gare da disputare può ancora succedere di tutto, soprattutto se la Mercedes si confermerà così veloce e, finalmente, gentile con le Pirelli. Secondo all’arrivo e in classifica è Kimi: il finlandese oggi ottiene il massimo e scalza Alonso alle spalle di Seb nel mondiale piloti. 38 punti da recuperare, però, sono tanti, soprattutto se si può contare solo sulla strategia di gara. Chi torna a casa con le ossa rotte è la Ferrari. La rossa è più lenta di tutte e tre le concorrenti, e Alonso non può fare miracoli. Ora il Circus si ferma per un mese: da Spa deve iniziare la rimonta, anche se pare che a Maranello si punti già al 2014. Due parole su Maldonado. Il venezuelano, decimo, ha finalmente schiodato la Williams da un indecoroso zero nella classifica costruttori: un punto d’oro.

L’Italia dei tuffi è ancora targata Cagnotto

Con la piattaforma maschile si sono chiusi i mondiali di tuffi a Barcellona. Se a Shangai la Cina aveva tiranneggiato il medagliere vincendo tutte e dieci le gare, in Spagna gli dei del trampolino e della piattaforma hanno mostrato segni di cedimento. Purtroppo per l’Italia, chi non ha sbagliato abbastanza è He Zi, l’erede di Wu Minxia, che si è imposta in entrambe le gare dal trampolino. Da un metro la cinese ha strappato l’oro a Tania Cagnotto per appena 10 centesimi di punto, un’inezia. Dopo le cocenti delusioni di Londra e un anno in cui ha esplicitamente dichiarato di aver staccato un po’ la spina, nessuno si aspettava una Tania Cagnotto così competitiva.

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Invece, dopo aver dominato la rassegna europea a Rostock, la bolzanina ha prima colto uno splendido argento in coppia con l’inseparabile Francesca Dallapè nel sincro dai tre metri, lo ha poi bissato nella gara del trampolino da un metro ed ha mancato uno storico tris per “colpa” di un inizio traballante nelle prime rotazioni della gara dai tre metri. Chi ha spaventato la concorrenza e illuso i tifosi azzurri con tre tuffi impeccabili è Maria Marconi. La romana, campionessa italiana in carica, ha buttato via un potenziale argento con un errore grossolano nella quarta rotazione, così come un improvviso black out all’ultimo tuffo delle eliminatorie l’aveva esclusa dalla finale del trampolino da un metro. Noemi Batki ha mancato l’ingresso in finale dalla piattaforma, confermando suo malgrado di essere lontana dalla condizione di forma che le aveva permesso di conquistare l’oro europeo a Torino nel 2011. In campo maschile sono poche le note liete. Andrea Chiarabini, classe 1995, ha centrato l’ingresso nella finale dalla piattaforma, ma nell’atto conclusivo non ha saputo replicare la brillante semifinale ed ha chiuso la gara al dodicesimo e ultimo posto.

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Maicol Verzotto, invece, è stato tagliato fuori già alle eliminatorie, anche se può consolarsi con il settimo posto ottenuto con Francesco Dell’Uomo nel sincro. La giovane coppia formata dal tandem Billi-Tocci non ha impressionato dal trampolino, discorso valido anche per gli individualisti Rinaldi e Benedetti, anche se per i primi tre si può sperare in ampi margini di crescita in vista dei prossimi appuntamenti. L’Italia dei tuffi, dunque, è ancora solo (o quasi) Tania Cagnotto, che ha raggiunto quota 26 medaglie in carriera. Non resta che confidare nella sua voglia di rivincita affinché continui fino a Rio 2016 alla caccia di quella medaglia olimpica che il destino ha voluto sfilarle dal collo per ben due volte l’estate scorsa.

A Barcellona per il riscatto

Obiettivo della missione: cancellare lo zero alla voce medaglie di Londra 2012. Domani la spedizione azzurra di nuoto in vasca farà il suo esordio ai Mondiali di Barcellona e sarà impegnata al Palau Saint-Jordi fino al 4 agosto. Dopo l’era aureo-patinata di Federica Pellegrini e Filippo Magnini l’Italia propone come punta di diamante Fabio Scozzoli.

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Il ranista si presenta in Spagna da vicecampione mondiale in carica nei 50 e nei 100 metri (distanza dominata dal forlivese agli ultimi Giochi del Mediterraneo) e vorrà mettersi alle spalle la debacle londinese quando chiuse al settimo posto una finale in cui partiva dal trampolino accreditato del secondo crono. La Federica nazionale, invece, arriva a Barcellona in punta di piedi e scommette sui 200 dorso per arricchire il suo palmarès, anche se si spera in una sorpresa dalle staffette a stile libero di cui la Pellegrini farà parte assieme ad Alice Mizzau, che parteciperà anche alle gare individuali. Chi è chiamata a consacrarsi definitivamente sulla scena mondiale è Ilaria Bianchi, vincitrice dei 100 farfalla a Mersin il mese scorso.

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In campo maschile, oltre a Scozzoli, le speranze sono riposte sullo stile libero: nelle discipline veloci sarà difficile per Luca Dotto replicare l’ingresso alle due splendide finali di Shangai e difendere l’argento vinto nei 50 in Cina. Il veneto soffre di problemi fisici dovuti a un fastidioso torcicollo e rischia addirittura di non poter scendere in vasca. In tal caso verrebbe sostituito da Michele Santucci, medaglia di bronzo alle ultime Universiadi. Nel mezzo fondo, invece, Gregorio Paltrinieri vuole migliorare il “legno” olimpico ottenuto nei 1500m a stile libero.

Questi mondiali saranno i primi senza Michael Phelps: Ryan Lochte e Melissa “Missy” Franklin si presentano come i veri assi pigliatutto a stelle e strisce, ma anche Russia e Francia hanno diversi assi nella manica per contendere agli Stati Uniti il ruolo di protagonista assoluto del Palau Saint-Jordi. Verrà issato il tricolore? Sì. La domanda è: quante volte?